venerdì 15 agosto 2014

California. Gli diagnosticano una "condizione cronica da comportamento omosessuale" e fa causa a una rete sanitaria

Sottoporsi a esami clinici e vedersi diagnosticata una malattia che esiste solo nella mente di chi si nutre di pregiudizi e abusa della propria professione per alimentare pericolose forme di discriminazione sociale.

E’ accaduto in California, a Matthew Moore, un uomo di 56 anni, che dopo un check-up, ha visto comparire nella cartella clinica la dicitura “sofferenza da condizione cronica di comportamento omosessuale”. 


Da qua l’azione legale di Moore, che mai ha fatto mistero di essere gay, nei confronti del medico, il Dottor Elaine Jones della Torrance Health Association e del Torrance Memorial Physicians Network entrambi con sede in California.

Mattew Moore ha rilasciato una dichiarazione al network radiotelevisivo NBC.
Queste le sue parole:

“E’ stato estenuante e doloroso subire il tentativo di questo medico e del suo staff di usare me come bersaglio della loro campagna di odio nei confronti dei gay”.

Moore ha inoltre aggiunto che gli specialisti hanno inserito nella sua cartella clinica  il cosiddetto codice numerico 302,0.
Codice che definisce l’omosessualità come “devianza sessuale e malattia mentale” ed è stato rimosso dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) nel 1973.

I sanitari della Torrance Health Association si sono giustificati sostenendo che i documenti di Moore sarebbero stati corretti e la gaffe è stata causata da un errore umano.
Quelli del Torrance Memorial Physicians Network, l’hanno invece attribuita  a un problema nel software.

I Pubblici Ministeri hanno accusato le equipe mediche di utilizzo di pratiche ingannevoli, mentre Matthew Moore ha chiesto un risarcimento danni comprensivo sia di una somma compensativa per quanto accaduto, ma anche di quella conseguente a una eventuale condanna.
La battaglia per la rimozione dagli atti clinici della diagnosi omofoba va avanti da un anno.
."Nessun gay, lesbica, transgender o bisessuale deve sentirsi dire da un medico che il suo orientamento sessuale è anormale o insano” , ha detto Moore.

giovedì 14 agosto 2014

Kenia: "lapidazione per i gay". Nuovo disegno di legge proposto dai Parlamentari

Un nuovo disegno di legge anti-gay che vedrebbe le persone gay condannate a morte per lapidazione è in discussione in Kenya. Una nuova legge contro l'omosessualità è stata presentata dal Partito Repubblicano nell'Assemblea Nazionale.

L'intento è introdurre dure punizioni per l'omosessualità, con l'ergastolo o la pena di morte per 'omosessualità aggravata'.


L'autore del disegno di legge, Edward Onwong'a Nyakeriga, ha dichiarato:

"La proposta mira a fornire una legislazione globale e migliore per proteggere la cultura cara al popolo del Kenya:  valori familiari legali, religiosi e tradizionali contro i tentativi di attivisti per i diritti sessuali che cercano di imporre i loro valori di promiscuità sessuale sul popolo.
C'è bisogno di proteggere i bambini e i giovani che sono vulnerabili agli abusi sessuali e la deviazione a seguito di cambiamenti culturali, tecnologie dell'informazione senza censure, le impostazioni di sviluppo del bambino senza genitori e crescenti tentativi da parte di omosessuali a educare i figli in relazioni omosessuali attraverso l'adozione, affidamento o in altro modo " .

Il progetto di legge introduce anche l'ergastolo per chi gestisce o frequenta locali gay (chiamati bordelli dal firmatario della proposta di legge), che potrebbero essere utilizzati per indirizzare chi vive con una persona gay.

Il presidente del Kenya, all'inizio di quest'anno ha firmato una legge che legalizza la poligamia eterosessuale.

L'attuale codice penale del Kenya afferma:


"Qualsiasi persona di sesso maschile che, sia in pubblico che in privato, commette un atto di grave indecenza con un'altra persona di sesso maschile, o convince un'altra persona di sesso maschile a commettere qualsiasi atto di grave indecenza con lui, è colpevole di un crimine. "

lunedì 23 giugno 2014

Meriam è libera. Ma nel mondo si muore ancora per "apostasia"


Un caso shock in Sudan ha riportato agli "onori" delle cronache l'accusa anacronistica di "apostasia". Una donna, recentemente, ha dato alla luce il suo bambino in carcere. E' stata condannata a morte (impiccagione) per aver sposato un uomo cristiano e convertito alla sua religione. Il tribunale ha negato la validità del matrimonio. 

I gruppi statunitensi per i diritti si sono opposti al verdetto del tribunale e gli avvocati si sono adoperati, anche attraverso il lancio di una petizione, per ottenere la clemenza.
Oggi  Meriam, quella donna, è libera.


Le leggi che considerano reato l'apostasia esistono sulla carta in una minoranza di paesi (l'11% su scala mondiale) secondo la Pew. 

[www.pewresearch.org] 

Si tratta prevalentemente di paesi legati alla religione musulmana. 

La mappa sopra è dal 2012 e sintetizza le punizioni che vanno dalle multe alla perdita della cittadinanza al carcere fino alla morte. 

La seconda cartina , invece, mostra i numerosi paesi non musulmani nei quali ancora esistono leggi sulla blasfemia. 

La distinzione è complessa: l'apostasia equivale a un'eresia, un atto di tradimento o abbandono di una comunità religiosa per un'altra considerata "nemica". 

La bestemmia,invece, è in teoria un atto meno sociale e maggiormente diretto verso il divino. Ma, in pratica, le leggi contro l'apostasia e la blasfemia sortiscono lo stesso effetto: la repressione delle minoranze religiose e la censura della libera espressione. Attualmente, la più grande rete televisiva privata del Pakistan - GEO - è sotto attacco per la presunta messa in onda di uno spettacolo blasfemo. 

In Pakistan secondo un recente rapporto, 14 persone sono state condannate a morte in seguito a sentenze di colpevolezza per blasfemia e 19 detenuti sono stati condannati all'ergastolo. Ma centinaia sono i cittadini arrestati o accusati di aver commesso questo crimine.

domenica 22 giugno 2014

Conchita Wurst ha causato le inondazioni nei Balcani. Lo hanno detto i leader della chiesa ortodossa


Conchita Wurst è responsabile dell'allagamento che ha causato oltre 50 morti all'inizio di maggio.
Lo hanno sostenuto i leader della Chiesa Balcanica.
L'artista che è residente in Austria, il cui vero nome è Thomas Neuwirth, ha suscitato l'attenzione internazionale con la vittoria della kermesse Eurovision 2014.
Tuttavia, molti leader della chiesa hanno ormai definito l'alluvione che ha devastato i Balcani (la peggiore dell'ultimo secolo) come una "punizione divina" per la vittoria di Conchita.
"Questa alluvione non è una coincidenza, ma un avvertimento", ha detto il Patriarca di Montenegro, Amfilohije.
Che ha aggiunto:
 "Dio ha mandato le piogge per ricordare che le persone non dovrebbero cedere al loro lato selvaggio." 
Il Patriarca Irinej, il leader spirituale dei serbi ortodossi orientali, ha, inoltre, detto che le inondazioni sono state la "punizione divina per i loro vizi (delle persone come Conchita)" e che "Dio sta lavando quindi la Serbia dai peccati".
La Chiesa ortodossa russa ha precedentemente descritto Conchita come un "abominio" e la sua vittoria è stata "un passo in più nel rifiuto dell'identità cristiana della cultura europea".
Città e villaggi in Serbia, Bosnia e Croazia sono stati sommersi, case spazzate via dalle frane, l'elettricità è stata tagliata e vasti tratti di terreno agricolo sono rimasti sotto l'acqua. 

Non è una notizia freschissima ma, di tanto in tanto, non guasta andare a cercare i miserabili prodotti del fanatismo religioso e omofobo.

In questo caso è difficile stabilire quanta percentuale di pericolosità e quanta di ridicolaggine assegnare ai “pensieri” di determinate zucche che si sono formate dove solitamente gli umani hanno un cervello. 

sabato 21 giugno 2014

Iran. Razieh Ebrahimi, la sposa bambina è nel braccio della morte per l'omicidio del marito violento


Razieh Ebrahimi è stata costretta a sposarsi all'età di 14 anni. A 15 è diventata mamma.  A 17 ha ucciso il marito. A 21 si trova nel braccio della morte.

E' a un passo dall'esecuzione, nonostante le leggi internazionali vietino la condanna a morte e la sua esecutività per crimini commessi da minorenni.
Per fermare l'esecuzione è scattata la mobilitazione di Human Rights Watch, con una richiesta formale alle autorità iraniane.
Il legale della ragazza ha invece chiesto la revisione del processo.

QUA l’iniziativa di HRW, ripresa poche ore fa dal Corriere della Sera

Questa la storia di Razieh Ebrahimi, raccontata all'agenzia di stampa Mehr.

"Ho sposato il figlio del nostro vicino, perché costretta da mio padre. Secondo lui si trattava di un uomo educato perché era un insegnante. Avevo 15 anni quando è nato nostro figlio, che ora ha 6 anni.
Non ho idea di cosa sia la vita, cosa siano le gioie: mio marito mi maltrattava e ha sempre usato ogni pretesto per per insultarmi e aggredirmi fisicamente".

La donna ha ammesso di aver ucciso il marito. Gli ha sparato e poi lo ha seppellito in giardino.
Inizialmente aveva raccontato alla polizia che l'uomo era scomparso, ma il padre di Razieh Ebrahimi ha trovato il cadavere e lo ha consegnato alla pubblica sicurezza.

L'Iran è firmatario del Patto internazionale dei diritti civili e politici (ICCPR), che vieta la pena di morte per i detenuti se il reato è stato commesso mentre erano minorenni.
Per questo motivo Human Rights Watch chiede alla magistratura di annullare il verdetto.

"Ogni volta che un giudice iraniano emette una sentenza di condanna a morte per un minore, dovrebbe ricordare che commette una flagrante violazione e viene meno alle sue funzioni di responsabile legale e garante di giustizia equa. Pertanto la magistratura dovrebbe annullare l'esecuzione di una sposa bambina maltrattata", ha dichiarato Joe Stork di Human Rights Watch.

La famiglia del marito ha l'ultima parola sul destino di Ebrahimi, dato che per legge, i familiari della vittima possono bloccare l'esecuzione anche all'ultimo minuto con il perdono. Ma in questo caso c'è una chiusura totale.

Lo scorso aprile una madre iraniana aveva perdonato l'uomo che aveva ucciso suo figlio pochi istanti prima dell'esecuzione.
L'atto di Samereh Alinejad, questo il nome della donna, ha da allora portato decine di famiglie a seguirne l'esempio e bloccare numerose condanne a morte.
E mentre le autorità iraniane negano di aver "giustiziato" minori, secondo Human Rights Watch, sarebbero almeno dieci i ragazzi uccisi dal 2009 per aver compiuto reati quando ancora non avevano raggiunto la maggiore età.

Tutto ruota intorno alla definizione che in Iran si attribuisce al termine minore: l'età minima per la responsabilità penale è di 15 anni per i ragazzi e 9 per le donne che possono sposarsi a 13 anni, mentre gli uomini a 15.

Shadi Sadr, avvocato iraniano che opera a Londra per il Gruppo per i Diritti e Giustizia per l'Iran, ha dichiarato al Guardian che il caso di Razieh Ebrahimi (conosciuta anche come Maryan) ha messo ancora una volta in risalto un problema sociale e giuridico ancora poco noto e sottovalutato dell' Iran.

"Il matrimonio forzato in Iran è una questione sociale e legale sommersa. Tuttavia, va notato che il caso di Maryam Ebrahimi non è un caso unico. A marzo Farzaneh Moradi, 28 anni, è stato giustiziata per aver ucciso il marito. Fu costretta al matrimonio a 15 anni, ha partorito a 16 anni, si innamorò di un altro uomo a 19 anni ed è stata accusata di aver ucciso il marito a 20".

Racconta ancora l'avvocato con parole che descrivono il dramma delle spose bambine iraniane:

"Le donne come Maryam o Farzaneh, vengono costrette a sposarsi da bimbe e in nome del matrimonio vengono continuamente violentate. A quella età, anziché subire soprusi e brutalità, dovrebbero andare a scuola. E spesso queste vicende si chiudono o con l'omicidio del marito o il suicidio della ragazza".

Shadi Sadr ha mostrato i dati relativi a una ricerca effettuata in Iran nel 2012: sono stati registrati 1.537 matrimoni con spose di età inferiore ai 10 anni e 29.827 con baby mogli di età compresa tra i 10 e i 14 anni.

venerdì 20 giugno 2014

Inghilterra: solo il 24% della popolazione pensa che il Cristianesimo sia un tratto di identità nazionale

Cosa significa essere inglesi, e quanto incide la religione sull'identità nazionale?
E 'una domanda che è stata oggetto di accesi dibattiti nel Regno Unito negli ultimi mesi.
Il Primo Ministro David Cameron ha suscitato accese polemiche nel periodo di Pasqua, quando ha detto che la Gran Bretagna è un "paese cristiano".

Le sue idee sembrano essere smentite dal rapporto annuale sugli andamenti sociali, che è stato pubblicato ieri.
QUA il documento.

Gran parte della della relazione è stata dedicata all'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione e degli immigrati.
Tuttavia, ha anche riscontrato che solo il 24 per cento degli intervistati vede il cristianesimo come una caratteristica distintiva dell'essere britannico. Il sito del sondaggio dice:

"Nonostante le affermazioni del primo ministro David Cameron, secondo le quali il Regno Unito è un paese cristiano, l'essere cristiani è visto come un tratto legato alla nazionalità da una minoranza".

Ma non solo: rispetto al 1995, i dati mostrano una netta flessione con un passaggio dal 32 all'attuale 24 per cento. Un vero e proprio declino, insomma.

Il censimento del 2013 ha trovato che il 59 per cento dei cittadini britannici si definisce e sente britannico, con  un calo del 13 per cento in dieci anni. Anche questo elemento è alquanto sorprendente.

Addirittura,  lo scorso Aprile, Daniel Trilling, editore della rivista New Humanist, aveva dichiarato:

"Abbiamo una sorta di chiesa prestabilita con i Vescovi che siedono alla Camera dei Lord e votano le leggi che sono di tutti i cittadini del Regno Unito, indipendentemente dalla fede.
Sarebbe meglio, a mio avviso, per i religiosi e non se il Regno Unito diventasse a tutti gli effetti uno stato laico.
Una persona che segue un culto religioso differente dal Cristianesimo, quanto un non credente, non ha e non deve avere minori diritti.
E' molto evidente, dal punto di vista statistico, il numero sempre crescente di chi si definisce non religioso e questo fenomeno non è la conseguenza dell'influenza del laicismo militante, ma frutto di una libera scelta".

giovedì 19 giugno 2014

Cork, Irlanda: le atrocità delle suore verso le ragazze-madri e i loro figli. Le rivelazioni shock di un'ostetrica


Una suora che gestiva il reparto di lavoro nel 1951, ha perfino introdotto il divieto di qualsiasi "lamento o urlo" durante il parto.
Le ragazze povere che non potevano permettersi di fare donazioni per l'ordine Sacro Cuore, hanno dovuto trascorrere altri tre anni dopo che i loro bambini sono nati occupandosi delle pulizie e lavorando la terra adiacente la casa Cork e a 'fare ammenda' per la loro gravidanza. 

Prima di lasciare la casa, nonostante le ragazze in tre anni avessero stabilito un fortissimo legame affettivo con i bimbi, avveniva la separazione dalle madri.
Molti venivano dati in adozione, affidati a orfanotrofi e spesso con un preavviso di poche ore.
Queste rivelazioni sono state rese note dalla signora Goulding, un'ostetrica che ha lavorato nella struttura e a contatto con le ragazze e i loro bambini a partire dal 1951. Le testimonianze sono contenute nel suo libro intitolato La luce nella finestra.

"Non potevo immaginare perché i bambini non sono stati dati in affidamento subito dopo la nascita per evitare traumi ad entrambe le parti", è scritto nel libro.
Nessun antidolorifico veniva somministrato durante i parti.
"Devono soffrire", era stato detto al personale.
Proprio come nelle lavanderie Magdalene, a nessuna delle donne è stato permesso di parlare tra loro, con gli infermieri o raccontare quanto subito ai familiari. 

Lei [la monaca] ha stabilito che le donne devono espiare i loro peccati". L'ostetrica Goulding ha descritto casa Cork come "carcere di massima sicurezza e nulla doveva trapelare all'esterno". 

Ostetrica che era cresciuta a meno di tre miglia dalla casa, ma era inconsapevole di come 320 donne in gravidanza e neo mamme sono state trattate dalle suore.
Appena arrivata vide una giovane con un ascesso in suppurazione che cercava di allattare il suo piccolo.

"Non avevo mai visto un ascesso simile, tanto che aveva creato un tale enorme ferita e la sofferenza scolpita nel volto della donna era quella di una atroce agonia.".

Le avrebbero dovuto somministrare penicillina e aspirina per alleviare il dolore e curare l'infezione, ma a lei quanto a tutte le donne è stato dato nulla. Le ragazze indossavano tutte un abito, una sorta di uniforme, e non sono stati ammessi reggiseni, cosa che ha causato grande disagio quando allattavano. Non è stato consentito di indossare scarpe al piano superiore: le donne appesantite in gravidanza si muovevano a piedi nudi con il costante rischio di scivolamento su pavimenti in legno.
Il libro della signora Goulding è straziante.

"Avere un bambino fuori dal matrimonio è stato un argomento tabù tanto che la maggior parte dei padri non ha saputo che la sua donna era incinta": all'epoca sarebbe stato "vergognoso" per le ragazze informarli.